Beira - In Sud Africa con Doyle

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Un terreno da gioco per giganti – La palude Pungwe – Beira – Un ciclone – Un grande Ray – Le miniere d’argento Chicoa – Il Vangelo di San Giovanni – Un protettorato – Mombasa.

   Ci sono brutte notizie. Le piogge torrenziali hanno spazzato via un tratto della linea ferroviaria che collega Salisbury a Beira. E’ un affare serio perché i nostri biglietti per il bastimento che da Beira ci porterà a Mombasa sono per venerdì e, per non perderlo, dobbiamo partire mercoledì. Mentre sto scrivendo è martedì mattina e non c’è nessuna garanzia che riusciremo ad attraversare la palude Pungwe in territorio portoghese. Trovarsi bloccati in quell’acquitrino infestato di moscerini non sarebbe uno scherzo, tuttavia queste piene si ritraggono con la stessa velocità con cui arrivano, per cui speriamo in bene.

   La pericolosità del posto sembrava essere all’altezza delle nostre preoccupazioni, ma, dal momento che l’alternativa era quella di perdere la nave, abbiamo deciso di rischiare. Il luogo dell’inondazione era a 40 miglia da Beira e nessun treno poteva attraversarlo, ma ci è stato detto che un altro treno sarebbe venuto a prenderci dall’altra parte del punto pericoloso. Siamo stati costretti a firmare un modulo con cui ci assumevamo tutti i rischi e rinunciavamo ai reclami e all’indennità di risarcimento in caso di incidente. Siamo partiti da Salisbury la mattina presto e, malgrado l’ora, un crocchio di amici, fra i quali il giudice McIlwaine e sua moglie, è venuto alla stazione a salutarci.

   Il paesaggio che si attraversa percorrendo le 200 miglia da Salisbury alla frontiera portoghese è singolare. Per lunghi tratti, vi sono serie straordinarie di rocce ammucchiate l’una sull’altra. Mia moglie ha detto che sembrava il terreno di gioco di una stirpe di giganti, che avessero lasciato dietro di sé quei fantastici mattoni da costruzione. Qua e là c’erano splendide distese di veld in tutte le sfumature di verde, circondate da colline di un blu profondo e delicato, come non ne avevo mai viste. In alto, le nuvole della stagione delle piogge, erano come grandi mammelle grigie gonfie di umidità, pronte a rompersi e a scendere non come pioggerella ma sotto forma di fiumana d’acqua. Le nuvole contribuivano ad aggravare i problemi a cui dovevamo far fronte, dato che, si diceva che due grandi fiumi, il Pungwe e lo Zambesi, avessero già superato gli argini.  

   Era essenziale che il tempo si mantenesse bello e mi sono sentito mancare il cuore quando, alzatomi a notte fonda, dalla piattaforma posteriore del treno ho visto che stava piovendo a dirotto. In due ore erano stati registrati 3 pollici di pioggia. Alle 7 del mattino, il cielo si è rischiarato e siamo entrati nella terribile palude Pungwe, un posto dove Dante avrebbe potuto collocare uno dei gironi del suo Inferno. Quando è inondato dalle acque, l’orrendo acquitrino si estende per 400 miglia quadrate, un caos primordiale di limo ed erbacce, attraverso le quali scorre un’acqua marrone scuro, in cui hanno la loro dimora tutte le creature più odiose che strisciano, volano o sputano veleno. Attorno a noi ronzavano sciami di moscerini e attraverso i finestrini aperti entravano calabroni e mosche velenose. Se chiudevamo i vetri, il calore umido diventava insopportabile. Era un luogo da incubo, che esalava fumi putrescenti. Il treno procedeva piano lungo la sottile sponda sabbiosa. L’argine, dissestato dall’allagamento e pieno di crepe, avrebbe potuto cedere a ogni momento sotto il peso del nostro convoglio che tentava per primo la traversata.

Nessuno era in grado di dire che cosa sarebbe accaduto e uno slittamento sarebbe bastato a far finire le vetture a capofitto nell’orribile palude e garantirci una morte lenta e sgradevole, che avrebbe fornito materiale ai nostri acerrimi avversari clericali. Tuttavia, abbiamo continuato ad avanzare lentamente fino al punto troppo pericoloso da oltrepassare, dove ci hanno fatti scendere. Mentre percorrevamo a piedi, lungo la linea ferroviaria, il tratto che ci separava dal treno mandato in nostro soccorso, abbiamo incontrato la lunga fila di passeggeri che provenivano da Beira con tre giorni di ritardo. Erano diretti al treno che noi avevamo appena lasciato. In quel breve tratto di strada le persone del nostro gruppo hanno contato quattro serpenti. L’unica cosa attraente di quel luogo infernale, che ha la morte nell’aria, è l’abbondanza e la varietà di uccelli. Vi erano grandi gru, pellicani, colorati martin pescatore che svolazzavano tutt’intorno e un uccello rosso, non più grande di uno scricciolo, che sembrava una fiamma volante. Con il sole, la pianura Pungwe deve avere molte attrattive, ma Dio ci scampi dal traversarla di nuovo sotto la pioggia.  

   Qua e là, nella distesa di acqua torbida, si vedevano piccole sporgenze di paglia a forma di cono, simili ad alveari. All’inizio eravamo perplessi su cosa potessero essere, poi abbiamo capito che erano le punte delle capanne dei nativi, completamente sommerse. Siamo arrivati a Beira con nove ore di ritardo, felici di ritrovarci nella quiete dell’hotel, dopo aver superato quel pericoloso passaggio. Il tempo si è nuovamente guastato, per cui credo che il nostro sia stato il primo e anche l’ultimo treno ad arrivare. Questi allagamenti sono periodici. Secondo una leggenda, alcuni anni fa l’inondazione era arrivata così in fretta che i nativi hanno dovuto arrampicarsi in cima alle loro capanne, dove erano sferzati dalle code dei coccodrilli. Perché ci siano delle persone che vivono in posti simili è un mistero.
   Ci avevano parlato molto male di Beira, ma in modo del tutto ingiustificato, perché è una città notevole. E’ vero che l’hotel Savoy è più caro del suo omonimo di Londra, ma le sue verande che si affacciano sull’Oceano Indiano non hanno prezzo. Le strade sono ampie e c’è un servizio di carretti a mano che rende piacevole e facile girarla, c’è un club e un campo da golf. No, malgrado il caldo e le mosche, Beira non è un brutto posto.

   Il signor Tom MacDonald è uno dei pionieri che abitano qui e mi ha fornito alcuni particolari sul posto. La costa non è governata direttamente dal Portogallo, ma da una Compagnia privata, la Compagnia del Mozambico, che è simile alla vecchia Società Commerciale della Rhodesia, anche se ha poteri più limitati. Tutto è deferito a Lisbona. Il signor MacDonalds dice – ed è una cosa che ho sentito spesso – che quando trovi un Portoghese veramente di classe trovi uno dei migliori gentiluomini al mondo.  Uno di questi è Andrade, l’attuale Governatore. Uomini del genere fanno capire le cose meravigliose che il Portogallo ha fatto quando era al massimo della sua vitalità. La forza motrice che ha spinto i suoi figli a lasciare il paese natio e a percorrere 500 miglia di territorio selvaggio fino alle miniere d’oro in Rhodesia del Sud deve essere stata enorme! Bisogna provare ad attraversare le paludi, i fiumi, le montagne di questa regione per capire che cosa significhi. Ma accanto al Portoghese di prima qualità ce n’è uno abietto e le angherie della polizia, di cui sono stati vittima molti nostri concittadini nei porti africani, giustificherebbero una dura rimostranza da parte della Gran Bretagna.  

   Beira ha una popolazione di soli 15.000 abitanti, 2.000 dei quali bianchi, ma è progettata ambiziosamente su larga scala e promette di essere la degna porta d’ingresso in un grande paese. Ai nostri discendenti sembrerà strano che a tutt’oggi, nel 1929, non ci sia una strada che collega la Rhodesia al porto. Questo collegamento è essenziale per il dominion, che, quando fosse possibile, dovrebbe fare di tutto per assicurarselo, anche se dovesse impegnare la propria camicia per comprarlo. Spero e credo, comunque, che ci comporteremo in modo corretto con i Portoghesi, nostri vecchi e fedeli alleati e che lasceremo loro tutto quello che gli apparteneva prima che i Britannici mettessero piede in Sud Africa. Attualmente, una grossa percentuale di soci della Compagnia del Mozambico, che ha un capitale di due milioni e mezzo, è formata da Britannici e Tedeschi. Il Governo del paese è dunque in mano a un consiglio di amministrazione cosmopolita rigorosamente controllato da Lisbona. Ma non sarebbe possibile stipulare un accordo che, in cambio del debito di guerra che il Portogallo ha con la Gran Bretagna, faccia avere al Sud Africa e alla Rhodesia i porti così necessari al loro sviluppo?  

   Dopo giornate piuttosto uniformi, ci siamo imbattuti in un tocco di avventura. Il giorno dell’imbarco il cielo era minaccioso, perciò ci siamo affrettati per raggiungere il Karoa, un battello britannico proveniente dall’India, che faceva la spola fra Durban e Bombay per commercio. Raccogliere trentasei colli sotto a una pioggia torrenziale su di una banchina disorganizzata in mezzo a una folla ondeggiante di Arabi e Indiani non è stata un’impresa facile, ma ce l’abbiamo fatta. La nave era ormeggiata a un miglio dalla riva e, per raggiungerla, la scialuppa a vapore ha compiuto molte strane evoluzioni. Da quel che potevo vedere, dovevamo presentare uno spettacolo piuttosto movimentato per chi ci guardava dal parapetto. Appena saliti a bordo, il vento si è rinfrescato, poi si è trasformato in un ciclone di insolita violenza. Il porto è in un’insenatura naturale circondata da isole, tuttavia ci sono molti passaggi. Il capitano ha manovrato con grande abilità il Karoa, prima di ancorarlo sottovento, in modo che non dovessimo combattere con il mare. Ma il vento era tremendo e la pioggia sferzava il viso con una tale violenza che bisognava stare al riparo. Ha continuato a peggiorare, fino a raggiungere un punto tale che ricordo di aver incontrato una sola volta nella mia lunga esperienza di viaggi in mare.

Solo Conrad avrebbe saputo descrivere un tifone come quello. La notte, nel lettino della cuccetta, aspettavo a ogni momento di sentire il colpo sordo che mi avrebbe fatto capire che la nostra ancora stava arando e che stavamo andando alla deriva verso la costa fangosa. Tuttavia, il capitano Bannehr continuava ad avanzare lentamente, allentando la pressione sul cavo. La mattina, la vista di tre grandi piroscafi e del battello pilota arenati vicino a noi, confermava che i miei timori non erano stati infondati. Il Malda, che aveva guidato il Prince fuori dal porto, ha cominciato ad andare alla deriva in piena notte e a scarrocciare a precipizio in direzione del golfo suonando la sirena, fino a quando ha raggiunto il fango. I marinai affrontano con leggerezza i pericoli, ma sarebbe difficile concepire una situazione più innervosente di quella, molto pericolosa per lo stesso Malda e per altre navi, inclusa la nostra, perché il battello pilota era come un pesante maglio fuori controllo, che avrebbe schiacciato qualsiasi cosa avesse urtato. Per buona sorte o per buona arte navigatoria esso è riuscito a passare attraverso alle altre navi senza danni altro che per se stesso.

In questo momento la vedo attraverso l’oblò e sotto la prua e la chiglia anteriore si vede il panorama marino. Il capitano dice che questo è il ciclone più violento che ha affrontato. Inoltre, le boe che segnano il percorso sono tutte fuori posto, perciò siamo bloccati per altre ventiquattr’ore. Le informazioni dicono che si è trattato di un vero tifone e che la situazione è stata più seria di quanto avevamo supposto. L’East African Standard ha scritto che “è stato veramente pericoloso, ma le manovre ben riuscite hanno salvato la situazione”.

   Siamo sull’Oceano Indiano e vi sono pesanti nuvole nere da ogni parte. Spero che non si stiano preparando maggiori problemi, anche se la nostra piccola nave è solida ed ha un fuso molto rassicurante. Il capitano, un uomo molto in gamba, mi ha dato il permesso di salire sul ponte, dove abbiamo fatto una chiacchierata sugli strani mostri degli abissi. Egli era interessato al mio racconto della strana creatura marina che ho visto una volta nelle acque della Grecia, che mi ha fatto pensare che i mostri preistorici potrebbero non essere poi così preistorici. Anche lui, una volta, ha avuto una strana esperienza con la sua nave che, per ragioni sconosciute, aveva rallentato la corsa. Alla fine, egli ha scoperto che la prua aveva colpito una razza, grande quanto il tappeto di una stanza, che probabilmente dormiva in superficie o vicino ad essa. Si era attorcigliata attorno al piè di ruota e si è dovuto fermare la nave e farla indietreggiare per liberarla.   

   L’equipaggio della nostra nave era formato da sottufficiali indù e da marinai maomettani. Durante la guerra, essi avevano mostrato una grande differenza di carattere. Mentre era stato impossibile convincere gli indù ad andare più a ovest di Suez, i maomettani avevano affrontato con leggerezza il pericolo ed erano andati dappertutto. Hanno anche formato gli equipaggi di molte navi torpediniere e sono contento che in India sia stato eretto loro un bel monumento. Proprio questa differenza fra indù e maomettani farebbe di questi ultimi i padroni dell’India, il giorno in cui dovessimo lasciarla.  

   A bordo c’è un famoso geologo minerario, il signor Harger, che è stato il primo a scoprire i giacimenti di diamanti Lichtenburg, con un complicato procedimento di deduzione mentale. Come molte altre persone, egli è profondamente insoddisfatto delle attuali leggi sui diamanti in Sud Africa, anche se riconosce le difficoltà della questione. Egli mi ha dato alcune informazioni sulle miniere d’argento di Chicoa, che delizierebbero l’ombra del mio amico Rider Haggard. Nel Medioevo, i nativi erano soliti portare argento di buona qualità ai Portoghesi sullo Zambesi, ma non avrebbero mai rivelato dove si trovavano le miniere. Si diceva che queste cave, segnate in modo vago sulle vecchie mappe portoghesi, contenessero ricchezze favolose. Un giorno, il  colonnello Sampson, decorato con la croce Vittoria, partì coraggiosamente alla testa di un gruppo di nativi per cercarle, ma quando entrarono in un villaggio i cui abitanti giacevano a terra morti per la malattia del sonno, i suoi indigeni si spaventarono talmente che rifiutarono di andare avanti. Da allora non è più stato fatto alcun serio tentativo per individuare il posto. Sarebbe una ricerca importante per qualche giovane avventuroso.           
Da due giorni stiamo risalendo il Canale del Mozambico in direzione nord, fra la costa africana e il Madagascar.

Ho passato il tempo a leggere attentamente e ad annotare il Vangelo di San Giovanni. Per quante volte abbia letto il Nuovo Testamento, ogni volta che lo rileggo vi trovo qualcosa di nuovo che mi era sfuggito in precedenza. Inoltre, man mano che cresce la mia conoscenza del paranormale, cresce anche il mio apprezzamento delle Scritture perché i miracoli, che un tempo rifiutavo perché li consideravo oltre i limiti delle possibilità umane, adesso so per esperienza che sono all’interno delle leggi medianiche. Mi interessa ogni particolare della vita familiare di Gesù e, benché vi sia poco di documentato, molto può essere dedotto. Poiché le Scritture tracciano l’albero genealogico di Gesù, attraverso Giuseppe fino a Davide, è chiaro che esse riconoscono Giuseppe come padre nel senso comune del termine e che l’evento miracoloso è stato un ripensamento, come sembra più onorevole. Era una famiglia numerosa, composta da almeno quattro fratelli e due sorelle. Una cosa che non avevo notato prima è che i fratelli di Gesù scoraggiavano e deridevano la Sua missione e questo è affermato in Giovanni, VII 3,4,5.  Probabilmente anche sua madre disapprovava e questo spiegherebbe il tono freddo e distante con cui Egli si rivolge a lei. Di Giuseppe non sappiamo quasi nulla, ma se sopravvisse egli fu probabilmente un dissidente, dato che non è mai citato in rapporto con i discepoli. Tutto questo conferma le Sue ripetute dichiarazioni che, quando si intraprende una missione simile, si deve rinunciare alla propria famiglia. Si accorda anche con la testimonianza che quando Egli visitò Nazaret, sua città natale, non poté fare grandi cose, perché la gente aveva poca fede. Lo sfortunato medium, dal quale si pretendono miracoli in presenza di critici inesorabili, è in grado di apprezzare questo passaggio.
Nel Vangelo di Giovanni, c’è un tocco dolcemente umano nell’affermazione ripetuta che lui era l’Apostolo prediletto. Gli altri tre non ne fanno cenno.

   Ero salito a bordo del Karoa con la ferma intenzione di riposarmi, cosa di cui avevo un gran bisogno, ma, come al solito, mi è stato chiesto di tenere una conferenza sull’argomento paranormale e, come al solito, mi sono sentito in dovere di accettare. La presidenza è stata affidata al signor Sastri, il famoso deputato e oratore indiano. Sastri è un bramino e, alla fine della conferenza ha fatto un interessante confronto fra il suo punto di vista e il mio, sostenendo che c’è una grande analogia. La reincarnazione, vero fondamento del sistema braminico, presso gli Spiritualisti britannici è una questione aperta, mentre è accettata dai latini che seguono Allen Kardec. Poiché vi sono lunghi intervalli fra le diverse vite, mi sembra che l’esperienza intermedia sia quella più importante. Ma il suo punto di vista, di un’anima che vaga in modo indefinito senza identità, mi sembra molto deludente. E’ infinitamente più logica e soddisfacente la nostra conoscenza che nulla cambia e che la vita continua in modo concreto in un ambiente nuovo. Sastri ha ammesso molti casi in cui sembra esserci stato un intervento spirituale. Nel complesso, la mia impressione è che questa gente in un dato momento abbia avuto una vera rivelazione, fraintesa e confusa nel corso del tempo. Alcuni passaggi dei Veda in cui mi sono imbattuto mi sono parsi puro spiritualismo.  

   Il brutto tifone a Beira ha mandato all’aria il nostro programma e ci ha causato un tale ritardo che il nostro battello postale, legato ai contratti, deve affrettarsi per recuperare il tempo perduto. Abbiamo dato un’occhiata affascinata a Dar-es-Salam, negli ultimi anni roccaforte tedesca in Africa, ma non è stato possibile scendere a terra. Un enorme bacino di carenaggio galleggiante, orribile ricordo della guerra, chiude una parte dell’entrata nel porto. Era un tentativo disperato di chiudere fuori l’inevitabile. La città sorge in un posto incantevole, nascosto dalle palme, è vicino a un estuario sinuoso. Sarà mai restituita alla Germania? Nessuno sa che tipo di mandato potrebbe essere o che situazione si potrebbe creare se la Lega delle Nazioni annunciasse  all’improvviso a maggioranza che il termine è scaduto. Personalmente preferirei che fosse lasciata alla Germania qualche valvola di sicurezza. E’ pericoloso soffocare una nazione di sessantacinque milioni di anime, perché più la si comprime più si provoca un’esplosione. Ma le difficoltà pratiche saranno immense. Si sta creando ogni sorta di interessi acquisiti, per la maggior parte indiani. E seppure questo mandato cessasse, che cosa ne sarà degli altri? L’intera mappa  mondiale potrebbe essere nuovamente sconvolta.

Personalmente, ho paura che il nostro Impero diventi troppo grande per la forza che ha e che, bloccando la via agli altri, ecciti l’ostilità universale. Tuttavia, dal lato morale è una buona cosa che l’Union Jack  continui a sventolare. Quando questo simbolo della civilizzazione viene ammainato, è un brutto momento per un paese. Persino gli Stati Uniti, che hanno messo in atto la secessione più grande, sarebbero stati una terra più felice e importante se avessero trovato con pazienza, come avrebbero potuto trovare, un rimedio costituzionale alle loro rimostranze per diventare, con il tempo, il centro di un’enorme federazione unita di lingua inglese.

   Di notte, sotto la luna, abbiamo visto Zanzibar, che ci è parsa non dissimile da Venezia. Non abbiamo potuto scendere a terra, ma abbiamo visto il palazzo del Sultano, che occupa una  
posizione non dissimile da quella dei principi dei protettorati dell'India. **) E' stata la nostra ultima sosta prima di arrivare alla lunga e bianca isola corallina di Kilindini, che circonda l’antico porto di Mombasa, accesso all’altopiano del Kenya.          


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