Lago Vittoria - In Sud Africa con Doyle

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Verso il Grande Lago – La Rift Valley – Una strada pericolosa – Il Golfo di Kavirondo – Stanze buie – Tanganyka – La prigione Mwanza – I vescovi – Calciatori nativi – Una sorgente del Nilo – Una nuvola.

   Oggi, 26 febbraio, abbiamo cominciato il giro del lago Vittoria Nyanza su di  uno dei vaporetti che fanno servizio lungo le rive. Ci sono due modi per raggiungere il lago, in treno e in auto. Il primo è economico e confortevole, la seconda è cara e stancante, dato che ci sono 230 miglia di strada accidentata da affrontare. Con la propensione a soffrire tipica dei Britannici, abbiamo scelto la seconda.  
   Questo ha voluto dire passare la notte nella città di Nakuru, che si trova a metà strada. La prima parte del viaggio da Nairobi a Nakuru è piuttosto monotona, anche se è piacevole vedere delle belle fattorie ben tenute. Poi si entra nella riserva dei Kikuyu e per una trentina di miglia il terreno è incolto. A parte un grosso babbuino e un piccolo branco di impala che ci hanno tagliato la strada, il viaggio è stato tranquillo. Ci siamo fermati sulla scarpata della Rift Valley a guardare il magnifico panorama. La valle, esplorata e denominata dal Prof. Gregory, è parte della grande fessura o taglio che attraversa la faccia del mondo e che, partendo dal Mar Morto e attraversando tutta l’Africa, raggiunge la latitudine del Madagascar. E’ larga 50 miglia ed è un solco deforme con molte tracce vulcaniche, che ne sottolineano l’origine. Sorge sul luogo di molte città morte, della cui distruzione sembra di sentire ancora il rumore, tanto che ci si chiede se il cataclisma che la produsse non possa essere stato quello di cui si parla nelle Scritture.

   E’ sicuramente stato qualcosa di tremendo che ha prodotto questa enorme fenditura fra le montagne, al fondo del quale si vede una vasta pianura punteggiata di alberi. Si scende per circa duemila piedi per una strada sterrata e poi si continua il viaggio in pianura, oltrepassando i segni di attività vulcanica su entrambi i lati. C’è la sinistra collina Longanot, che ha un cratere di tre miglia guardato con orrore dai nativi, che dopo il crepuscolo non si avvicinano mai ai suoi bordi nodosi e scanalati. Si dice che anche la selvaggina lo eviti e questa potrebbe essere una reminiscenza di qualche terribile disastro. Si oltrepassano alcuni laghi la cui acqua è molto impregnata di natron. Sulla superficie di uno di essi i ragazzi sono riusciti a vedere in lontananza due punti scuri, corrispondenti alle teste di due ippopotami. Se è vero che la salamoia è un conservante, essi dovrebbero vivere in eterno. Sulla sponda dello stagno c’è una lapide, nel punto in cui alcuni anni fa i Masai uccisero un mercante bianco. Ogni Masai che passa ha l’abitudine di mettere un ciottolo sul tumulo e il mucchio è diventato molto alto. Non è dato sapere se questo significa approvazione dell’atto o se sia un’offerta allo spirito del morto. In lontananza, abbiamo visto alcune zebre e un serpentario, che incedeva impettito e dignitoso lungo la strada.

Stanotte dormiamo in un piccolo bungalow accogliente attiguo all’hotel Nakuru, dove il viaggiatore affaticato può trovare tutte le comodità che desidera. E’ strano come, in posti come questo, si trovino cose che mancano nei pretenziosi hotel di città. La mattina abbiamo osservato da una certa distanza il lago Nakuru, uno dei tanti che si trovano nella gola della Rift Valley. Il fatto che l’acqua di questi laghi sia impregnata di sale li collega con il Mar Morto e con la leggenda della colonna di sale, che riguarda questa grande ferita sulla faccia del mondo. L’origine sismica è resa credibile dal fatto che qui vicino, dietro all’hotel Nakuru, si trova uno dei più grandi crateri del mondo, il Menangai.  

   Il viaggio di 120 miglia che abbiamo affrontato il secondo giorno non è stato privo di difficoltà. Abbiamo preso una scorciatoia che valica le montagne e fa risparmiare 70 miglia rispetto alla strada principale nell’Eldoret. Vi sono poche persone disposte a mettere a repentaglio se stessi e le proprie auto in un viaggio simile, ma il nostro tempo era limitato, perciò abbiamo rischiato. Una parte della strada era buona, ma ce n’era una parte che alternava  tratti di pista a tratti che sembravano il letto di un fiume. Il nostro autista era esperto e i ragazzi si sono alternati alla guida della macchina con i bagagli, prendendo il posto del giovane meccanico. In alcuni punti sarebbe bastata una slittata per finire giù dal dirupo, in altri la presenza di un’altra auto in direzione contraria avrebbe costituito un problema irrisolvibile per la mancanza di spazio e per la pericolosità della guida in retromarcia.

   La maggior parte della terra su cui siamo passati è riservata ai nativi e, di quando in quando, eravamo consci di un’atmosfera per nulla amichevole. Le donne ci facevano le boccacce e gli uomini, una volta o due, ci hanno guardati con occhi torvi. Alcuni di loro avevano delle lance, ma nell’insieme mi sono sembrati gente innocua e amabile.  
La terra appartenente agli Europei mi è sembrata ben coltivata. I risultati degli insediamenti in Kenya mi hanno colpito di più di quelli in Rhodesia, dove il grande veld sembra ancora intatto. Qui, fatta eccezione per le riserve di caccia e i distretti dei nativi, si vede una successione ininterrotta di piantagioni di caffè, di agave sisal, di zucchero, di tè, con molte case circondate da boschetti di alberi.

   Per tutto il viaggio, il paesaggio è stato splendido e maestoso, tuttavia, abbiamo visto pochi animali selvatici. Un cefalofo, non più grande di un Airedaile terrier, è fuggito via davanti a noi e, fra gli uccelli, abbiamo visto dei coraan, galline prataiole nere dal becco rosso e molte varietà di cicogne e di falchi. I vegetali più straordinari sono le strane euforbie, dalle quali i nativi distillano veleno, e la quercia da sughero, senza foglie e con i fiori rossi come ceralacca, dalla forma di scovolino. Ho visto per la prima volta l’albero delle salsicce, con un’intera dispensa di salsicce vegetali penzolanti dai suoi rami.

   La sera siamo giunti a Kisumu, che si trova in una piccola insenatura del lago ed è il punto di partenza del nostro viaggio. Non ci sono hotel e per dormire c’è solo un bungalow Dak, nella cui veranda, protetta da zanzariere, sto scrivendo queste note. Salpiamo domani mattina presto. Il piccolo porto di Kisumu è situato alla fine del golfo di Kavirondo, che si trova in un ramo del grande lago. Esso prende il nome dalla tribù dei Kavirondo, che abita tutta la regione e che abbiamo visto nell’ultima parte del viaggio. Essi sono completamente selvaggi, pochissimo coperti e le donne sposate portano dei piccoli ciuffi bizzarri sul fondoschiena che le fanno somigliare, specialmente quando si chinano, a delle galline. Per proteggere i loro villaggi dai fieri guerrieri Nandi provenienti da nord, gli abitanti li hanno circondati di palizzate trasformandoli in zarebas, ma da quando il British Raj è provvidenzialmente intervenuto in loro difesa, essi non vengono più aggrediti e gli steccati presentano dei grandi varchi.  

   Stamattina, 28 febbraio, siamo scesi al molo a prendere il piroscafo a vapore, che in questo momento avanza sbuffando giù per il golfo. La nostra nave, la Usoga, ha fatto parte della valorosa flottiglia che ha combattuto nei mari del sud contro le navi tedesche. E’ stato un confronto molto leale, in cui entrambi i contendenti hanno dovuto improvvisare il materiale di difesa. Sia qui che sul lago Tanganyka i Tedeschi hanno opposto una buona resistenza, ma alla fine hanno dovuto sgombrare. Il capitano dell’Usoga, Marshall, è passato attraverso tutto questo e ci ha fornito alcuni dettagli interessanti. Mi chiedo se i fatti della Grande Guerra saranno mai conosciuti a fondo e padroneggiati da una sola mente. Spesso, gli eventi periferici sono stati altrettanto importanti e drammatici della grande battaglia centrale.  

   Il Golfo è calmo e, dopo aver oltrepassato lo stretto, nel quale stava giocando un grosso ippopotamo color cioccolato, siamo entrati nel lago principale che, con le sue 250 miglia per 150, è il più grande del mondo. La nostra rotta segue la riva, perciò non avremo la sensazione del mare aperto provata quando abbiamo attraversato il Lago Superiore. A notte alta, abbiamo raggiunto il nostro primo luogo di sosta, Karungu. Dal ponte, mi sono reso conto della responsabilità che pesava sul marinaio che doveva approdare su di una riva scura come il carbone, su cui non brillava neanche una luce. Alla fine, in risposta al suono ripetuto della nostra sirena, è apparso il luccichio di una lanterna e siamo stati in grado di localizzare la minuscola banchina sulla quale sbarcare le provviste, destinate a una miniera d’oro nell’interno. Il mattino dopo, 1° marzo, siamo giunti a Musoma, una piccola baia tranquilla costellata di isole. In verità, non ricordo un altro luogo dove sono stato così irrangiungibile e isolato dal resto del mondo senza giornali, radio, lettere e telegrammi.  

   Ho letto con sentimenti contrastanti il libro sullo Spiritualismo del mio amico Sir Philip Gibbs, Stanze buie. E’ molto ben scritto e i personaggi sono delineati in modo efficace, ma egli dipinge solo una parte del quadro. Nel mondo ci sono sicuramente stati dei medium fraudolenti, anche se il loro numero è stato grandemente esagerato - se si dicesse che un decimo di essi è disonesto, si sopravvaluterebbe la cifra  - ma dipingerli tutti come fraudolenti è falso e altera l’effetto artistico del quadro, che è fatto di ombre ma anche di luci. E’ come fare il ritratto di un prete ubriaco e dissoluto e far intendere al lettore che questo è tipico della Chiesa cattolica.
   Un altro segno di pregiudizio consiste nel citare ripetutamente e con rispetto le opinioni di ricercatori indecisi, perché sono negative o non decisive, e nel non dire una parola sulle grandi menti e i cuori coraggiosi che non hanno avuto paura di affermare in modo schietto di aver esaminato l’argomento paranormale e di averlo trovato giusto e veritiero. Sentiamo parlare di Osty e di MacDougall, ma mai di Hyslop, Hodgson, Stead, Crookes, Wallace, Barrett, Driesch e Lodge. La regola del gioco sembra essere che se ci si mette in ridicolo dichiarando di non riuscire a farsi un’opinione o se, come nel caso di questo libro, anziché usare il cervello che Dio ci ha dato, ci si rifugia in quello che dice la nostra Madre Chiesa, incuranti del fatto che la Chiesa, da Galileo a Darwin, si è sempre sbagliata, allora si è rispettabili. Ma se, dopo aver fatto verifiche e soppesato le prove, ci si forma l’opinione che la cosa è vera, che si tratta di una rivelazione importante e di un argomento persuasivo contro il materialismo, allora, proprio perché si è avuto il coraggio di farsi un’opinione precisa, non si conta più nulla e ci si ritrova estromessi dal dibattito pubblico. Tutto questo mi sembra un modo perverso e illogico di considerare l’argomento. Tuttavia, Dio è in grado di badare a se stesso, io mi limito ad ammirare il bel lago Vittoria che si stende intorno a me da ogni lato.

   Venerdì 1° marzo abbiamo costeggiato le rive del lago Tanganyka, irte delle curiose formazioni rocciose caratteristiche dell’Africa. C’erano lunghe strisce di terreno che sembravano ben coltivate e si vedevano molti villaggi di nativi, che qui hanno una grande riserva. I passeggeri dell’Usoga formano una piccola, curiosa famiglia: c’è un alto ufficiale di polizia di ritorno da un’ispezione, il direttore bianco di una scuola di nativi accompagnato dalla moglie, un giovane tedesco di bella presenza con la moglie e il figlio, tre ragazze greche, uno o due individui indefinibili. L’ispettore di polizia ripone molte speranze nel futuro della Colonia ed è d’accordo sulla politica  di autonomia delle diverse tribù *) attuata da Sir Donald Camerun. Egli è abbastanza sicuro che il nostro mandato sarà permanente. A notte alta siamo giunti nella palmosa baia di Mwanza, a sud del lago, in cui dobbiamo restare per tre giorni in attesa della coincidenza per un treno in partenza da Dar-es-Salaam.        
   Adesso che è stato rimosso il controllo, sotto forma di selezione, attuato dalla Natura, c’è qualche pericolo che le tribù dei nativi possano crescere e moltiplicarsi al di là di ogni ragionevole limite. In tutto il mondo, fra la Natura e il British Raj, è in corso una guerra. La Natura manda il vaiolo. Il Raj provvede il vaccino. La Natura manda le inondazioni. Il Raj costruisce le dighe. La Natura manda la carestia. Il Raj fornisce il cibo. La Natura manda lo spirito bellicoso, che causa/porta alle guerre tribali. Il Raj lo reprime, facendo intervenire l’Ispettore di polizia. E’ una partita lunga e difficile, di solito vinta dal Raj, la più grande forza del mondo a favore del bene.

   I tre giorni di sosta forzata non sono stati un’esperienza divertente. Quando si è confinati in una piccola nave, anche una bella baia punteggiata di isole e dei boschetti di palme vengono a noia. E’ vero che davanti a noi si stendeva una terra da esplorare e il resto della famiglia ha fatto un giro in un’auto decrepita guidata da un indiano, che faceva allegare i denti ai ragazzi ogni volta che cambiava marcia.

Per quel che mi riguarda, io sono rimasto a bordo quasi tutto il tempo, scrivendo e leggendo. Ho avuto un’esperienza interessante, grazie alla gentilezza del signor Noah, il governatore della prigione, che mi ha permesso di entrare a visitare i prigionieri. Il signor Noah ha certamente alcuni animali curiosi nella sua arca. Non c’erano bianchi o Indiani – erano tutti neri. Cinque di questi poveri diavoli hanno concepito l’idea che, se fossero stati ciechi, sarebbero stati rimessi in libertà. Perciò, hanno fatto penetrare negli occhi della calce grattata dai muri, distruggendo la propria vista. Adesso sono impegnati a fare ceste di vimini, un lavoro che si può fare anche senza vedere. Nel petto di questi uomini, che hanno compiuto un atto così terribile, deve esserci stato un desiderio ardente per la vita libera che conducevano prima, nella pianura e nella foresta. Quanto forte deve essere stato il colpo, quando si sono resi conto che era stato tutto invano! Sui loro visi sgraziati ho letto una muta disperazione. Eppure essi sono trattati molto bene. In Inghilterra vi sono molte prigioni che sono al di sotto di questa come spazio a disposizione e comodità. Le punizioni sono ridotte al minimo – l’anno scorso vi sono state solo quattro fustigazioni. Agli uomini capaci veniva insegnato un mestiere e io ho visto dei mobili fabbricati da loro. Forse le Missioni potrebbero imparare qualche cosa da questo metodo di domare ammansire i selvaggi.  

   Sono anche andato a visitare le celle dei pazzi. Un povero negro, piccolo e tutto deformato, sembrava essere convinto di partecipare a una danza di nativi e non smetteva di andare avanti e indietro, inchinandosi e inginocchiandosi. Un altro era immerso in una profonda apatia e non faceva alcun movimento. La sua anima aveva abbandonato il corpo, che era ridotto a una massa inerte con poche tracce di vita animale. Dopo che aveva mangiato o era stato nutrito, gli uccelli si posavano su di lui e beccavano le briciole dalle sue grosse labbra, mentre lui rimaneva immobile. Questi due individui non riacquisteranno la salute con una cura ortodossa, ma potrebbero essere sollevati dal male dal dr. Wickland o dal dr. Titus Bull che seguono la teoria dell’ossessione diabolica. Gli alienisti si mostrerebbero saggi se dedicassero la loro attenzione ai risultati ottenuti da questi due dottori. Potrebbero imparare che Cristo non ha commesso errori nella Sua patologia.

   Abbiamo lasciato Mwanza, augurandoci di non vederla mai più e, a piccole tappe, stiamo andando prima a Bukoba, poi a Bukakata. Al nostro gruppo si sono aggiunti tre vescovi cattolici e un legato pontificio, il vescovo Hinslip dell’English College, mandato da Roma per risolvere alcune questioni sull’educazione dei nativi. Sembrano essere delle persone molto amabili, anche se non ho dubbi che alcuni secoli essi mi avrebbero condannato all’auto da fé insieme a tutti gli Spiritualisti. Dei quattro uno è Inglese, uno Svizzero, uno Tedesco e uno Alsaziano – tipico di questa Chiesa meravigliosa. Ho gradito molto le conversazioni che ho avuto con loro e un mattino in cui ero sul ponte alle cinque, vedendo una luce nel salone, ho guardato dentro attraverso i vetri e ho visto il vescovo inglese che diceva la messa. Gli altri tre erano inginocchiati accanto a lui con espressioni di devozione sul volto. Era una scena emozionante. Che bella religione sarebbe se accettasse lo Spiritualismo e si liberasse della camicia di forza dell’intolleranza e del dogma! Forse il suo futuro sta proprio in questa direzione.

   I piccoli porti del lago si assomigliano un po’ tutti e dopo qualche tempo il viaggio diventa piuttosto monotono. Inoltre, il vociare continuo, il rumore del motore nelle operazioni di carico e scarico, l’acqua sui ponti rendono il tragitto un po’ duro per i passeggeri. La noia è stata interrotta dall’apparizione di un grosso ippopotamo sulla riva, vicino al punto in cui era attraccato il battello. Io non l’ho visto, ma qualcuno è venuto la mattina presto a chiamare Denis, che ha detto che l’animale era a sole 50 iarde dalla nave. Si è manifestato come una straordinaria apparizione alla luce di una potente torcia. Abbiamo fatto una sosta gradita a Port Bell, da dove abbiamo raggiunto in auto Kampala, capitale dell’Uganda. I ragazzi ci sono arrivati da Entebbe insieme a un amico. Per dimensioni e importanza, Kampala promette di rivaleggiare con Nairobi. E’ abbellita da due enormi cattedrali di fedi rivali e dal palazzo del re nominale. Ho seguito con interesse l’incontro di calcio fra due squadre di nativi, organizzato dall’Associazione di Football. I calciatori erano in gran forma e avrebbero dato del filo da torcere a qualsiasi team britannico non di serie A. La formazione era perfetta, i tiri a rete buoni, compreso quello realizzato di testa su calcio d’angolo, con la massima precisione desiderabile, da un giocatore dalla chioma crespa. Il portiere colpiva la palla con il piede nudo e la mandava a una distanza che sarebbe stata notevole anche con uno stivale. Credo che correre a piedi nudi renda i giocatori molto agili e il gioco molto veloce.  

   L’Uganda, il cui suolo apparentemente molto ricco porta benessere agli abitanti, per qualche ragione che non capisco, non attira i coloni quanto il Kenya. Può darsi che ciò sia dovuto al clima, più tropicale. Gli uomini bianchi che sono qui sembrano essere quasi tutti ufficiali. Abbiamo sentito dire che vi sono dei proprietari di piantagioni di caffè e di cotone, ma essi non devono essere molto numerosi. I negri, qui e intorno al lago, coltivano caffè di qualità scadente e molti di loro sono benestanti, cosa che non migliora le loro maniere e il loro comportamento. D’altra parte, i negri addetti ai lavori manuali sono individui splendidi; non ho mai visto uomini usare così tanta energia quanto alcuni stivatori che lavorano su questo lago.  

   Siamo sbarcati a Jinja per vedere le cascate Ripon e una sorgente del Nilo. Quando esce dal lago, questo ramo del fiume misura 200 iarde di larghezza, perciò è già un neonato molto robusto. Guardando la corrente rapida, ci veniva in mente che se vi avessimo lasciato cadere una calabassa con un messaggio ed essa non avesse trovato ostacoli nelle canne, nel fango o in altri imprevisti, attraverso il lago Albert essa sarebbe arrivata fino al Cairo e quindi al Mediterraneo. I ragazzi se ne sono andati per conto loro, hanno visto alcuni coccodrilli e ippopotami a cui hanno sparato. Mia moglie non è riuscita a vedere neanche un ippopotamo durante il viaggio, perciò appena arriveremo a Londra dovrò portarla allo zoo, per convincerla che questi animali esistono davvero.  

   Un gentiluomo ugandese, che in giovinezza aveva conosciuto intimamente Barney Barnato a Kimberley, mi ha raccontato una strana storia su di lui. Sembra che Barnato avesse avuto un litigio molto aspro con il suo partner che, se è vero quel che mi hanno detto, aveva buoni motivi per essere infuriato. In un accesso d’ira egli giurò di portare con sé Barnato nell’aldilà quando fosse morto e ripeté più volte questa minaccia. Lo stesso giorno in cui quell’uomo morì, Barnato saltò giù dal ponte della nave su cui stava tornando in Inghilterra. Se è stata una coincidenza, bisogna ammettere che è molto strana.

   Oggi, sabato 9 marzo, siamo tornati nel porto di Kisumu, da dove eravamo partiti. La circumnavigazione del lago è stata un’esperienza insolita e interessante, resa piacevole dalla compagnia di tre ufficiali bianchi. Un turista, però, potrebbe impiegare meglio il suo tempo attraversando il lago sui battelli postali, per vedere qualcosa dell’Uganda e passare un giorno o due sulle Montagne della Luna, dove c’è un piccolo e dinamico hotel. Sono contento che il viaggio sia finito, perché io sono fatto per il lavoro e il riposo mi sfinisce.  
   All’ultimo momento, Malcolm ha avuto un forte attacco febbrile dovuto a insolazione o a intossicazione alimentare o, forse, a tutte e due. In treno, abbiamo passato una notte da incubo, durante la quale il ragazzo si dibatteva in preda al delirio. Questa mattina, egli è nuovamente cosciente e la sua temperatura è normale, perciò penso che l’attacco sia stato violento quanto breve. Dopo averlo portato nel rifugio dell’amichevole hotel Norfolk, avevamo la sensazione che tutto sarebbe andato bene e così è stato. Con la competente assistenza del dr. Anderson, egli è tornato ad essere l’allegro ragazzo di sempre.        

 
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