Mombasa - In Sud Africa con Doyle

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Gli abitanti di Nairobi – Strani animali – Incidente alla conferenza – Mombasa – Il famoso assedio – Un animale legato alla terra – Di Nuovo sull’acqua salata.

       Nel corso dei nostri vagabondaggi non eravamo mai stati in un luogo con una tale varietà di persone e di contrasti come Nairobi. Mi sono fermato in Government Road e ho fatto una lista dei passanti: due ragazze inglesi con abiti corti e racchette da tennis, come se ne vedono a Norwood; due giovani negri vestiti di cotone, che passeggiano mano nella mano; alcuni indiani dall’aria innocente in abito bianco e turbante; un torvo maomettano con il naso adunco e la barba virile, un Pathan dell’India settentrionale; una signora inglese con la borsa della spesa, in giro per acquisti come se fosse in Bond Street; un selvaggio con una fascia di stoffa in vita, gli orecchini e alcuni ciondoli; un giovane in calzoncini corti e camicia rosa, del colore di una noce, di sicuro appena rientrato da un safari; un gruppo di donne indiane con meravigliosi vestiti colorati. Al di sopra a questa processione, che scorre e procede in combinazioni diverse, c’è l’invisibile mano protettrice del British Raj.

   In Kenya, il comportamento dei bianchi verso le razze meno sviluppate mi sembra quanto di meglio si possa desiderare. Nel periodo in cui sono stato nel paese, non ho visto alcun segno di intolleranza o di prepotenza. Ma dato che ho parlato dei casi di violenza in Sud Africa, cito il caso di un colono inglese accusato di aver torturato un nativo, per ottenere informazioni su di un furto sospetto e finito per questo in tribunale. Paragonata all’interrogatorio di terzo grado della polizia americana, la sua tortura era poca cosa, in ogni caso il comportamento dell’uomo è stato severamente criticato dal Pubblico Ministero e probabilmente sarebbe stato punito come meritava se non si fosse suicidato – segno che era mentalmente disturbato - l’ultimo giorno del processo. E’ l’unico caso di cui ho sentito parlare e ho visto che è stato riportato sui giornali inglesi, come se il Kenya avesse fama di maltrattare i nativi.

   Oggi ho avuto un’interessante conversazione sugli stregoni con il capitano Ritchie, governatore della caccia in Kenya, e con il suo assistente. Tutti e due hanno dichiarato che questi maghi usano il loro potere per compiere malefici e che, con la forza della suggestione, inducono alla morte le loro vittime. Hanno citato molti casi di omicidi, ma nessuna attività benefica, tranne quella di un uomo conosciuto dal capitano Ritchie, che per quattro volte ha interrotto la siccità e con i suoi incantesimi ha portato la pioggia. Se è sorprendente che i suoi rituali siano stati seguiti dalla pioggia, pensare a una connessione fra il tempo e il selvaggio offende la ragione. Quelle due autorità della caccia hanno poi ascoltato con attenzione e stupore la mia esperienza con la strega zulu.

   A volte, nei paesi più civilizzati, arrivano leggende di strani animali, sui quali è facile fare dell’ironia. Ricordiamo però che anche l’okapi veniva deriso, prima che alcune sue pelli venissero portate in Europa. Non dobbiamo giudicare in modo troppo rigido gli animali che si nascondono/vivono nascosti. In Sud Africa, aveva suscitato molta attenzione una creatura in grado di saltare una palizzata di sei piedi con una pecora tra le fauci. Non era un leone e nessuno sa cosa fosse, anche se essa si è spinta a predare fin dentro alla civilizzata Graaf-Reiner, sul Capo Province. La sua orma è stata descritta come “fuori del normale, rotonda come un piattino e con delle unghie lunghe due pollici.” Un’altra bestia strana, che i nativi chiamavano nsuifisi, è stata descritta come un leopardo a strisce e con tutte le caratteristiche di un predatore feroce. La sua esistenza è stata ridicolizzata fino a quando, recentemente, un famoso cacciatore rhodesiano ne ha ucciso uno e si è stabilito che si tratta di una specie sconosciuta di ghepardo.

Chiarito questo mistero, ne rimane un altro, più grande, che riguarda l’orso Nandi o chemosit, come lo chiamano i nativi, sul quale circolano le storie più fantastiche. Un uomo di Nairobi, degno di fede, ci ha assicurato che suo cugino era stato trascinato via dalla veranda da uno di essi e che aveva le ferite da mostrare. Non siamo riusciti a sapere o a vedere altro. Si dice che sia alto 40 pollici, più di un leone alla spalla, e che assomigli a un’enorme iena. Si dice anche che la sua orma, cosa unica fra i mammiferi, abbia sei dita. I resoconti sono molto vaghi e alcune persone asseriscono invece che la creatura sia antropoide e arboricola. Ma, fra le tante voci, qualche fatto concreto sembra esserci.

   Nelle vaste paludi del Sudan c’è una creatura chiamata lau, che si dice sia un enorme serpente. Un cacciatore coraggioso dovrebbe localizzarlo facilmente, dato che sembra abbia un prodigioso muggito, specialmente di notte. Sul Bulawayo Chronicle, uno scrittore, a cui devo i particolari della storia, dice che in un lago del Tanganyka un commerciante greco ha ucciso un enorme serpente d’acqua di specie sconosciuta, che misurava 40 piedi di lunghezza e 3 iarde di circonferenza e che potrebbe essere un parente più piccolo del lau del Nilo. Si dice anche che, nell’abisso attraversato dal fiume Orange nella sua corsa verso il mare, viva un’enorme creatura, che ha alcune caratteristiche dei sauri. Ieri ho incontrato il conte Almasy, un giovane ungherese che andava a caccia di un elefante con quattro zanne, un mastodonte antidiluviano, la cui esistenza gli è stata assicurata. La terra africana offre ancora molte avventure romanzesche, ma quando il mondo sarà tutto esplorato e spiegato sarà molto noioso. Saranno sempre in serbo, tuttavia, le infinite ed eterne distese della conoscenza paranormale.  

   Nella mia ultima conferenza a Nairobi c’è stato un curioso incidente. Una delle mie diapositive, inviatami da un gentiluomo di Nottingham, appartenente a un gruppo di ricerca, rappresenta un presunto spettro in una casa di campagna. Non è una di quelle più importanti e ho detto più volte che non posso garantire per essa, perché ho un solo testimone su cui contare. Anche quella sera ho detto che non era probatoria. Un dentista locale, il signor Palmer, si è alzato per dire che aveva impersonato lui il fantasma, per ingannare i compagni, ma che poi aveva fatto la sua comparsa il fantasma vero. Il giorno dopo mi ha mandato una lettera dicendo: “Dopo aver visto il fantasma vero e aver sentito il suo potere in quella casa infestata dagli spettri, non potrei mai più fingere.”

Molti saranno d’accordo con me nel ritenere che queste simulazioni, che rendono più difficile il lavoro delle persone serie e oneste, sono buffonate vergognose e irresponsabili. Esse confermano quello che ho detto spesso, vale a dire che anche i ricercatori e gli spettatori, come i medium, devono essere controllati. Se il pubblico potesse rendersi conto del numero di fotografie false ideate da reporter in cerca di pubblicità, da giovani professori che vogliono sembrare intelligenti e da altre persone senza scrupoli, essi valuterebbero queste accuse con molta riserva. C’è un famoso mago che ha dichiarato che, per lui sarebbe una bazzecola riempire furtivamente di mussola le tasche del medium e si sa che tutta la serie di esperimenti di Crandon avrebbe potuto essere rovinata da Houdini, se egli non fosse stato scoperto mentre li manipolava per indurre a credere che fossero fraudolenti. E questi sono i nostri critici! Quis custodiet ipsos custodes?

   Poichè l’incidente di Nairobi potrebbe essere interpretato male, propongo questo commento di un amico sconosciuto apparso sull’East African Standard e che mi sembra corretto:  
“Dato che il signor Palmer ha ammesso di aver visto il fantasma vero, la sua interruzione è indifendibile ed è un peccato che l’interessante conferenza sia stata interrotta in un punto così importante. Sir Arthur ha spiegato che la fotografia non costituiva una prova, anche se era interessante, perciò la questione avrebbe potuto essere discussa dopo, non nel corso di un rozzo tentativo di denunciare una frode in modo drammatico, tentativo che ha meritato il disprezzo condiscendente con cui è stato accolto.”
   E’ un giudizio severo ma giusto, mi sembra, e ringrazio questo sconosciuto che si firma Stanley Lavers per il suo intervento.

   Al mio ritorno in Inghilterra, il signor Melton, da cui avevo avuto la foto, ha confermato il suo racconto assicurandomi di averla scattata lui stesso e che non c’erano errori da parte mia.
   Il 13 marzo abbiamo dato l’addio a Nairobi che, con i suoi abitanti pieni d’entusiasmo, resterà per noi un ricordo piacevole. Anche se non ho convertito tutti alla verità paranormale, ho almeno avviato una discussione, come dimostra la rubrica delle lettere al giornale. In materia religiosa, qualunque cosa è meglio dell’apatia. La via del ritorno passava attraverso le riserve di caccia nella pianura Athi. Mentre mi sistemavo in un angolo della vettura, ricordo di aver detto a mia moglie: “Non chiamarmi per niente di meno di una giraffa o di un leone.” Come si fa in fretta a diventare blasé!   
   
   A Mombasa abbiamo dovuto attendere tre giorni la nave, ma non è stato tempo sprecato perché mi hanno organizzato una conferenza. Abbiamo anche fatto un piacevole viaggio attorno all’isola, interamente formata di corallo e con la superficie coperta da qualche piede di terriccio sabbioso. Nel 1498, sei anni dopo che Colombo aveva scoperto l’America, Vasco da Gama sbarcò qui. Essendo un’isola, aveva il vantaggio di essere facilmente difendibile e per questo venne trasformata nel centro principale di tutta la costa portoghese. A questo scopo venne costruito un enorme forte, che era il vero nucleo del loro Impero e che fu attaccato dagli Arabi nel 1696. Seguì uno dei più memorabili assedi che si ricordi. La guarnigione resistette per diciotto mesi, poi giunse un piccolo contingente di rinforzo, che sembrava caduto dal cielo e che permise loro di resistere altri quindici mesi. Quando le ferite e le malattie ridussero gli assediati a undici uomini e due donne, divenne impossibile continuare a presidiare il perimetro della fortezza. Gli Arabi entrarono e massacrarono tutti. Due giorni dopo giunse da Goa una spedizione di soccorso, ma quando i soldati videro che il forte era caduto tornarono al porto di partenza.  

   Denis e io siamo stati a visitare questo luogo pieno di orrende memorie in compagnia del  signor Robertson, il Governatore, che ci ha fatto da guida. Oggi il forte è una prigione, che sembra molto ben diretta. Quando la conversazione si è incentrata sull’assedio del 1696, ho detto che al nostro hotel c’era qualcuno che forse se lo ricordava. Dall’espressione del mio ospite ho capito che la mia affermazione confermava i suoi dubbi peggiori sulle mie condizioni mentali. Ho dovuto spiegare che stavo alludendo a Liza, la vecchia tartaruga avvizzita che vive nel cortile, alla quale si attribuiscono 250 anni di vita. Le sue zampe nodose a forma di campana hanno un aspetto molto vecchio. Essa mangia di buon appetito, dorme molto e, quando passeggia, blocca tutto il traffico. Essa è la sola cosa che conosciamo che sia costretta a vivere sulla terra.

   L’hotel Manor di Mombasa, disegnato dalle due signore del nord che lo gestiscono, può tranquillamente essere raccomandato ai viaggiatori per il grande ingegno impiegato a mitigare le asprezze di questa caldissima città. Avevamo atteso con un po’ di ansia il nostro soggiorno a Mombasa, a causa delle dicerie sugli odori sgradevoli e sull’abbondanza di moscerini, invece abbiamo apprezzato molto i pochi giorni piacevoli che vi abbiamo passato. Raramente siamo stati più comodi.
   L’Oceano è la mia seconda madre e sono sempre contento di ritrovarmi nel suo ampio grembo. Mentre scrivo, vedo la sua ampia distesa alla mia destra e, lontano,  la costa orientale dell’Africa alla mia sinistra. Avanziamo in direzione di Aden sulla nave Modasa della British India Line, che ci sta riportando a casa. Il mio lavoro è finito, ma prima di riuscire a vederlo nella giusta prospettiva deve passare un po’ di tempo. So che lo Spiritualismo è la più grande rivelazione che il mondo abbia mai conosciuto e l’ho proclamato in tutti i grandi centri, da Città del Capo a Nairobi. Non credo che avrei potuto utilizzare meglio questi sei mesi del poco tempo che mi resta da vivere.   


    
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